La festa più importante in Iran è senza dubbio il Nourùz (“Nuovo giorno”), il Capodanno iraniano: è una tradizione presente già prima dell’Impero Persiano ed è molto sentita dagli Iraniani – a qualunque fede religiosa essi appartengano – e dagli abitanti di alcune terre influenzate dalla cultura della Persia Achemenide: Afghanistan, Tajikistan e India, dove vive una grande comunità di zoroastriani chiamati appunto Parsi.
Si comincia con l’ultimo mercoledì prima del Nourùz, con la celebrazione del Chahàr Shambèh Sourì (“Mercoledì rosso”), un’invocazione al “Fuoco” accompagnata da salti attorno a vari falò al fine di cacciare gli spiriti maligni in vista del nuovo anno: è un rito antico tramandato dai seguaci di Mithra – divinità del fuoco – il cui culto si diffuse anche nell’Impero Romano, a contatto con i Padri della Chiesa.
In vista del Nourùz ogni famiglia si dedica con attenzione alla pulizia e alla decorazione della propria casa, all’acquisto di nuovi vestiti, da indossare nel “Nuovo Giorno” – per sancire l’arrivo dell’anno nuovo. Ma ciò che caratterizza meglio la casa iraniana a Capodanno è il Sofrèh Haft Sin, il tavolo imbandito con sette oggetti il cui nome persiano inizia per “S” (sin in persiano): la mela (sib), l’aceto (serkèh), l’aglio (sir), la frutta secca (senjèd), la crema di grano (samanù), le spezie (somàgh), il giacinto (sonbòl); inoltre non possono mancare un sabzèh (un germoglio di grano o lenticchie piantato 2 settimane prima del Nourùz), un sekkèh (Zecchino), un aiyné (specchio) e una piccola vasca con un pesciolino rosso – tutti simboli di buon auspicio – e infine un candelabro con tante candele quanti sono i membri della famiglia, da accendere pochi secondi prima del Nourùz. In relazione alle origini etnico-geografiche della famiglia oppure in base alla fede religiosa, le famiglie aggiungono agli oggetti del Sofrèh Haft Sin il proprio testo sacro di riferimento: così avremo i Zoroastriani con l’Avestà, gli Ebrei con la Torah, i Cristiani – soprattutto di etnia armena e assira – con il Vangelo, e i Musulmani con il Corano.
Il Capodanno iraniano coincide con il momento esatto dell’equinozio di primavera – la stagione definita come la prima delle quattro in ordine cronologico – sebbene convenzionalmente il primo giorno inizi dalla mezzanotte, in Iran si attende l’ora dell’equinozio calcolata precisamente dagli astronomi: solo da quel momento cominciano i veri festeggiamenti, scanditi dalle musiche popolari delle radio e delle televisioni.
Nei giorni immediatamente seguenti, le famiglie iraniane sono solite andare a trovare parenti, amici e vicini di casa: spesso si tratta di visite brevi e ripetute più volte nel corso dei giorni, anche perché molti sono gli abitanti di Teheran, ivi trasferitisi per motivi di lavoro, che approfittano del Nourùz per salutare i parenti più anziani e gli amici di infanzia nelle loro terre di provenienza, con i più anziani che portano doni ai più giovani.
Il tredicesimo giorno dell’anno si concludono i festeggiamenti del Nourùz con una gita in campagna, il Sizdéh-be-Dar: è un giorno molto importante poiché nella tradizione pagana il numero tredici è nefasto e dunque è importante che la famiglia non sia in casa ma passi quel giorno a contatto con la natura; in questa occasione – tra canti e balli – viene gettato via il sabzèh, conservato sino a questo momento, affinché si avverino i propri desideri.
Il Nourùz è una prova della multietnicità e della multiculturalità dell’Iran, caratteristiche presenti fin dall’antichità, e sopravvissute alle tante conquiste nella Storia – da parte di Macedoni, Arabi, Turchi e Mongoli – con le implicazioni politiche e religiose che ciò ha comportato: infatti il calendario iraniano parte con l’egira del profeta Maometto (622 d. C.) ma, a differenza degli altri paesi islamici, ha mantenuto il calendario solare Shamsì a differenza di quello lunare Ghamarì.
Saman Javadi
Articolo pubblicato su “Il Piccolo” (novembre-dicembre 2006), bimestrale dell’Associazione Cardinal Ferrari della Compagnia di San Paolo, Milano